30 NOVEMBRE 2011

Astenersi altissimissimi

La notizia è già vecchia di un paio di giorni, ed è quindi già stata commentata in lungo e in largo. Mi stupisce però, nelle cose che ho letto in giro, l’assenza di una riflessione sulla differenza che passa tra quello che altissimissimi dirigenti del Pd possono o non possono dire, e la loro effettiva – e limitata – capacità di modificare la realtà, la banale realtà. Quando si dice che oggi il partito monolitico non c’è più, che è la base a dettare la linea ai capi e non il contrario – non sempre, purtroppo – è tutto vero, non ci sono storie.
Ovvero – posto che da quel che so i ragazzi e le ragazze del Pd a Roma, nella campagna elettorale delle regionali 2010, si sono fatti un mazzo tanto, e i risultati nella Capitale lo dimostrano – davvero il disimpegno della classe dirigente del Pd in una competizione elettorale locale, amministrativa, è il fattore che fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta? O forse è addirittura meglio, è quasi auspicabile, che se ne stiano a casetta loro?
Concita racconta che un altissimissimo dirigente democratico le teorizzò che nel Lazio conveniva perdere, perché perdendo si faceva un favore a Fini, di cui la Polverini era espressione, si indeboliva Berlusconi, si accelerava la crisi, eccetera. Ora, a parte che viene da spellarsi le mani per l’acutezza dell’analisi, visto che la Polverini mollò Fini un minuto dopo aver ottenuto la candidatura, e Berlusconi le fece la campagna elettorale trasferendosi a tempo pieno tra le pastorelle dell’Agro Pontino. Ma il fatto è che ascoltando Concita, e sentendo parlare di dirigente altissimissimo, il pensiero va automaticamente a D’Alema, il grande vecchio de noartri, Darth Fener che entra in scena facendo piangere i bambini e ululare i cani; mentre invece pare non fosse manco lui. Pare fosse Fioroni. Altissimissimo. Fioroni. Vabbè, e se fosse? Con l’impegno diretto di Fioroni oggi Emma Bonino sarebbe presidente della Regione Lazio? Maddeché ahò, davèro? E sticazzi.
Inoltre: sicuro sicuro che ci sia un dirigente – più o meno altissimissimo - in grado di stoppare in corsa una macchina grossa come il Pd, giù giù fino all’ultimo militante, di convincerli così, bum, che la campagna elettorale va fatta in disimpegno, e tutto questo in segreto, senza finire sputtanato sui giornali? Davvero? No, perché a me pare che stiamo parlando di gente che manco riesce ad andare a cena, senza farsi beccare, mica di Arsenio Lupin. Nel caso della Bonino, poi, piuttosto che farmi fotografare con Fioroni avrei fatto sciopero della fame, tipo, tutta la vita.
Infine c’è la prova definitiva, quella incontrovertibile, che i dirigenti del Pd portano una sfiga micidiale, e che forse dovrebbero astenersi sempre, dal fare qualsiasi cosa, perché quel che toccano lo distruggono, e questa dovrebbe essere una regola universale: che a Milano, per il semplice fatto che Penati ebbe la pessima idea di sponsorizzarlo, Stefano Boeri si trasformò in un baleno da quel figo vero che è (e che sta dimostrando di essere proprio in questi giorni, a mio modestissimo parere) in un disgraziato cooptato che poi infatti perse le primarie contro Pisapia. E che è stato proprio nell’evidentissima assenza del Pd che conta da Milano – per non parlare di Napoli, pure – che si è ottenuta una vittoria storica, simbolica, fondamentale, quello che vi pare.
Si fosse presentato Fioroni per dare una mano, staremmo ancora piangendo sulle macerie.

  1. Non si può proporre una modifica dello statuto che includa la frase “i dirigenti del Pd portano una sfiga micidiale, e dovrebbero astenersi sempre, dal fare qualsiasi cosa, perché quel che toccano lo distruggono”? Sono certo che verrebbe approvata per acclamazione.

    Giulio
  2. Un complotto forse no, ma che il responsabile della campagna elettorale, cui non era bastato aver distrutto il PD romano,  dovesse essere cacciato a calci nel culo prima di fare ulteriori danni era evidente pure ai sassi. Si e’ preferito lasciar correre, e aspettare che di sua sponte si traghettasse armi e bagagli verso l’UDC.

     

    Lorenzo M.