20 GIUGNO 2011

Signor giudice

ingroiaNon voglio girarci intorno, e quindi lo dico subito: sono un fascista. Lo so, sono un individuo spregevole, o meglio, lei penserà che io sia spregevole. La capisco, intendiamoci: penserei lo stesso di lei, signor giudice, ma non posso dirlo, sarebbe vilipendio. In ogni caso, a ruoli invertiti, probabilmente sarebbe lo stesso. Ma i ruoli non sono affatto invertiti: io sono quaggiù, al banco degli imputati, e lei è lassù, sotto il simbolo di una bilancia e la scritta "La legge è uguale per tutti". Anche per i fascisti? Ecco una domanda per lei, signor giudice.
Dicevamo, io sono un fascista. Un ammiratore di Benito Mussolini. Un convinto sostenitore dell'idea che, come si usa dire, "quando c'era lui" il nostro fosse un Paese più dignitoso. Non ho approvato le leggi razziali, e neppure la guerra, ma resto dell'idea che il popolo debba essere guidato, con mano forte, e che la libertà di pensarla diversamente sia tutto sommato un piccolo sacrificio, se l'obiettivo è un bene superiore. Sono un idealista, insomma, in un senso antico e riferito a quel mondo lì, che oggi si è un po' perduto e indica tutt'altro. Un significato molto più generico di quello a cui, quelli come me, associano la parola ideale.
Se vuole mi giudichi, per questo, in senso lato. Ma lei mi insegna che, pure se nel mio intimo sono fascista, non merito altra condanna se non quella del disprezzo suo e di quelli che la pensano come lei. In tutto il suo codice non troverà una sola legge, che possa essere usata per condannarmi in base a quel che io credo. Per quanto lei pensi che sia sbagliato, e lo dimostra il fatto che non è per questo, che siamo qui oggi.
No, noi siamo qui perché io sono accusato di un reato che non ha niente a che fare con l'ideologia, siamo qui perché lei, nella sua funzione di pubblico ministero, ha indagato su una serie di appalti in cui sospetta vi siano infiltrazioni mafiose. Io sono qui per la mia attività di imprenditore, e non in quanto fascista, o perché frequento l'ambiente del Pdl: e so che suonerà come aggravante, ma le assicuro che lo faccio solo perché fa bene agli affari, poiché sono ben altre le compagnie in cui mi troverei a mio agio. Sono qui, dicevo, per contratti che ho firmato, affari che ho condotto, secondo lei, in almeno un'occasione, illegalmente. Il mio caso rappresenta un ramo molto laterale di un'inchiesta che ha più importanti obiettivi, ma devo rispondere per la parte che mi riguarda. Col diritto di provare a dimostrare la mia innocenza, come penso capirà: è una mia facoltà, anche se sono un individuo spregevole.
E sono deciso a farlo, glielo assicuro. Coi miei avvocati, che sono strapagati con lo scopo di trovare il modo di tirarmi fuori da questo impiccio. E' una gara tra lei e loro, a questo punto, e anche se per me sarebbe facile, crollare e ammettere che dopotutto negli affari succedono tante cose strane, ho deciso che proverò a non cedere, non importa quanta carcerazione preventiva lei e lo Stato mi farete fare prima che finalmente si arrivi in aula.
A questo punto, agli occhi di lei e di tanti, se davvero stessi dicendo queste cose ad alta voce, sarei già colpevole, e lo capisco: ma il punto è che non è così, che funziona la giustizia. Per fortuna, no? Il diritto a difendersi, e quello a non autoaccusarsi.
Però, nel frattempo, i suoi uomini sono entrati nelle mie proprietà, nei miei uffici, a casa mia. Avranno sicuramente trovato i miei busti in bronzo raffiguranti il Duce, le mie memorabilia del ventennio, quella vecchia, e per me gloriosa, divisa comprata da un anziano camerata. Non è certo roba che io abbia mai usato per sfilare sotto il balcone di piazza Venezia – sono nato troppo tardi, per poterlo fare – ed è tra i miei effetti personali solo per confortarmi, e aiutarmi a ricordare chi sono, in cosa credo. Non è neppure stata sequestrata, i suoi uomini cercavano carte, computer, insomma tutt'altro genere di cose. Ciò nonostante mi chiedo se i suoi uomini glieli abbiano riferiti, questi ritrovamenti.
Me lo chiedo, in particolare, dall'altra sera. Ero nella saletta tivù del carcere, e guardavo con i miei nuovi amici galeotti la diretta di una manifestazione condotta da Michele Santoro: una sorta di festa di un sindacato, la Fiom, piena di ospiti tutti decisamente orientati, dico dal punto di vista politico. Poi, ad un certo punto, è salito sul palco lei, signor giudice. E ha iniziato a parlare, a fare un vero e proprio comizio, se mi concede la definizione: calzante, e difficilmente smentibile. Avevo già letto di altri suoi comizi, in precedenza, ma era la prima volta che ne vedevo, e soprattutto ne sentivo uno. Lei è molto bravo, signor giudice, se posso dirglielo. E penso di intendermene, di uomini che sanno come far vibrare il cuore del popolo che hanno di fronte. Esattamente come quelli a cui mi riferisco, tra l'altro, lei ha la capacità di indicare una via a un popolo che oggi come allora è confuso e bisognoso di qualcuno che li guidi. Non è questo a preoccuparmi, evidentemente, anche se mi piacerebbe capire se lei se ne è accorto, di questa analogia.
Ma queste sono valutazioni che non mi competono, dovrebbe farsele chi l'ha ascoltata o al limite chi l'ha fatta salire su quel palco. Mi preoccupa, piuttosto, che dalle sue parole, per come la vedo io, emergono chiare le sue personali convinzioni ideologiche. Fin troppo chiare, per una persona nella sua posizione. Infatti, immediatamente, ho realizzato che lei a questo punto lo saprà, che io sono un fascista. E adesso, adesso io so con certezza come la pensa lei. Non saprei se darle del comunista, troppo spesso infatti quelli come me applicano questa etichetta con ossessivo sproposito, e io non vorrei farle un torto disegnandole una caricatura. Però una cosa la posso dire, posso dire che di certo che lei è di sinistra, e molto.
Liberissimo di esserlo, ovviamente, solo che lei ha scelto di andare più in là, e di dirlo. Di farne un elemento di testimonianza pubblica, e quindi politica. E questo ha delle conseguenze, signor giudice, a partire dal suo ruolo: nel senso che un pubblico ministero non dovrebbe far mai trasparire quelle che sono le sue idee personali. Neppure quelle politiche.
E sa perché, signor giudice? Perché adesso io non mi sento tanto tranquillo. Ho qualche dubbio, insomma, sulla capacità del mio accusatore di separare i fatti oggettivamente inerenti i capi d'imputazione che mi riguardano, e il suo personale giudizio su di me in quanto cittadino e sulle cose in cui credo. Per il fatto che io sono fascista, capisce: lei lo sa, così come io so come la pensa lei, quando invece avrei preferito non saperlo. Ma ora lo so, e non posso evitare di chiedermi se, quando verrà il momento, nell'esercizio delle sue funzioni, lei avrà dei pregiudizi contro di me.
Badi, questa non è una faccenda che è possibile risolvere con l'applausometro, non basta misurare il consenso di una folla accalorata. Questo sarebbe un trucco più appropriato per quelli come me, che per un difensore dello Stato di diritto come lei. Sono certo che lei lo capisce benissimo, anzi direi che per il ruolo che ricopre non può non capirlo. Ciò nonostante, ha comunque deciso di agire diversamente, di prendersi quegli applausi che non contesto, sono certamente meritati. Senza che peraltro nessuna superiore autorità sia riuscita a farla recedere da questo suo intendimento.
Così, per venire al punto di questa missiva, nel prendere atto del fatto che lei ha potuto concedersi questa sua libertà, mi scuserà, ma pure io ho deciso di provare a prendermi la mia. E ho quindi stabilito, in accordo con i miei avvocati, che contesterò con tutte le mie forze che sia proprio lei, il mio accusatore. Perché è ragionevole che lei possa avere qualche pregiudizio, nei miei confronti. Potrà sembrare una scappatoia, agli occhi suoi e di altri certamente pronti a scendere in piazza, ma le assicuro che nasce da una preoccupazione sincera, oltre che da una valutazione giuridica che nessuna piazza dovrebbe poter contestare.
Per questo le chiedo, se può, di non prenderla sul personale: è lei, che mi ha portato a questa mia risoluzione, e a questo punto le consiglierei di valutare, con grande serenità, quale sia la carriera migliore per lei. Al momento è un pubblico ministero molto stimato, ma al tempo stesso, da quel che vedo, potrebbe fare una brillante carriera politica. Non le due cose insieme, però: se non per rispetto nei confronti di quelli come me, almeno per rispetto di quel Diritto che ha giurato di servire. Scelga, per il bene suo e di tutti (oltre che mio).
Rispettosamente, le porgo i miei sentiti omaggi.

  1. Signor giudice
    le stelle sono chiare
    per chi le può vedere
    magari stando al mare.
    Signor giudice
    chissà chissà che sole
    si copra, per favore
    che le può fare male
    immaginiamo che avrà
    cose più grandi di noi
    forse una moglie
    troppo giovane
    e ci scusiamo con lei
    d'importunarla così
    ma ci capisca
    in fondo siamo uomini così così.

    Abbiamo donne, abbiamo amici così così
    leggiamo poco, leggiamo libri così così
    e nelle foto veniamo sempre così così.

    Signor giudice
    lei venga quando vuole
    più ci farà aspettare
    più sarà bello uscire.
    Signor giudice
    si compri il costumino, si mangi l'arancino
    col suo pomodorino
    noi siamo tanti, siam qua, già la chiamiamo papà
    di quei papà
    che non si conoscono
    quel giorno quando verrà giudichi senza pietà
    ci vergognamo tanto d'essere uomini
    così così.

    Sogniamo poco, sogniamo sogni così così
    abbiamo nonne, abbiamo mamme così così
    e quasi sempre sposiamo mogli così così
    se ci riusciamo facciamo figli così così.
    Abbiamo tutti le stesse facce così così
    viaggiamo poco, vediamo posti così così
    ed ogni sera ci ritroviamo così così.

    Signor giudice, noi siamo quel che siamo
    ma l'ala di un gabbiano può far volar lontano.
    Signor giudice, qui il tempo scorre piano
    ma noi che l'adoriamo col tempo ci giochiamo.
    L'ombra sul muro non è una ragazza
    però ci fai l'amore per abitudine
    lei certamente farà quello che è giusto
    per noi che ci fidiamo e continuiamo
    a vivere così così così.

    Sappiamo poco, sappiamo cose così così
    ci accontentiamo perchè noi siamo così così
    a casa nostra ci sono quadri così così
    e se c'è sole è sempre sole così così.
    Sogniamo poco, sogniamo sogni così così
    e nelle foto veniamo sempre così così
    ed ogni sera ci ritroviamo così così.

    (Un Roberto Vecchioni d'annata, per la precisione del 1979. Quando la sinistra era garantista, do you remember?)

    utente anonimo
  2. Gentile signor fascista, mi è gradito segnalarle un altro piccolo passaggio contemporaneo sul tema della selezione del magistrato inquirente, di recente rappresentato da un noto esponente dell'attuale maggioranza di governo. Intervenendo all’inaugurazione a Bergamo della Scuola superiore della Magistratura, Umberto Bossi ha dichiarato testualmente: «Io mi sento più sicuro se vado a farmi giudicare da un magistrato che capisce il mio dialetto». L’aspetto più preoccupante è forse che questa frase, pronunciata da un ministro, sia passata sostanzialmente inosservata, travolta dalle polemiche politiche.
    Questo concetto, mi permetta di essere oltremodo sincero, è radicalmente sbagliato per vari motivi. Sul piano politico, perché tende a marcare la divisione geografica del paese; sul piano culturale, perché sostiene che le specificità locali vadano contrapposte e non integrate; sul piano economico, perché i paesi che crescono riescono a inserire non solo i cittadini di altre regioni, ma persino immigrati da altri paesi (non oso immaginare come si sentirebbe Bossi con un magistrato nato, che so?, in Senegal…); sul piano linguistico, perché non ha senso parlare di dialetti di ambiti territoriali ampi (la Padania): le parlate italiane variano da paese a paese, da contrada a contrada, e il dialetto non va sterilmente contrapposto alla lingua nazionale.
    A questo punto mi viene da pensare che, per un motivo o per un altro, la magistratura sia sempre sottoposto a giudizi a priori, marcata diffidenza, ipotesi di dipendenza di varia natura e da vari soggetti.
    Un amico, giovane avvocato penalista, dopo che gli ho fatto leggere il suo accorato appello a Ingroia, ha così commentato: "un pm motiva tutti i propri atti, così come un giudice: si valutino quelli, considerato che la difesa ha tutti gli strumenti per farlo. Procedere diversamente significherebbe, portando l'assunto iniziale ad estreme conseguenze, che ognuno di noi si sentirebbe maggiormente garantito da un giudice del nostro stesso orientamento politico (o culturale o religioso)".

    Ecco, dunque, io sono più confuso che persuaso: se a Bossi non piacciono i giudici che non sanno il dialetto e a Lei quelli che presenziano a una manifestazione di operai, quali giudici non piacciono, mettiamo, a una persona normale?

    saluti

    mc

    p.s. Poi, alla fine, Vecchioni ha fatto pace con Marsala e i marsalesi, lo so per esperienza diretta…

    utente anonimo
  3. Ho capito. Dato che ha parlato della sua amicizia con Borsellino, che come si sa fu eletto rappresentante universitario con il Fronte Universitario d'Azione Nazionale, lei ha intuito che sia di destra, no?

    Piero

    utente anonimo
  4. Non essendo io fascista (anzi) non posso ovviamente rispondere per l'autore di questo appello. Personalmente inizio a trovare certi riferimenti a certi predecessori un po' strumentali. E penso che la separazione tra i poteri dello Stato valga sempre, e in tutti i sensi, cosa che oggi molti fanno finta di dimenticare con un po' di retorica strappapplausi e troppa disinvoltura intellettuale. Ed è una cosa che mi preoccupa un po', se non per la stagione in corso di sicuro per la prossima.

  5. Ciò che non mi convince del ragionamento del post è che il problema sembra essere non tanto le opinioni politiche di un giudice, ma il fatto che le renda pubbliche.

    Se diamo per scontato che l'orientamento politico di un giudice influisce sul suo operato, allora che abbia partecipato ad una manifestazione o no non cambia nulla, sarebbe comunque guidato dai suoi pregiudizi.

    Come ha detto qualcuno prima di me, la legge prevede tutele per la difesa e controlli atti a provare l'eventuale malafede dei giudici, valutandone i fatti, non le opinioni.