16 MARZO 2009

Ancora sul futuro dei giornali

Prosegue il tentativo di Wittgenstein di mettere insieme il meglio delle idee circolanti in rete a proposito del dibattito sul futuro dei giornali. Questa volta tocca a un articolo diSteven Berlin Johnson davvero strepitoso per lucidità e analisi degli scenari: anche a lui è venuto in mente il confronto tra l’informazione specializzata su carta e quella su web di cui avevo scritto più modestamente io. Soprattutto, finalmente, si inizia a parlare di informazione locale, del suo ruolo e del suo futuro. 
Sono stato un cronista di provincia in due fasi, prima di internet e dopo: la mia esperienza è limitata alla realtà della mia piccola, piccolissima città, Biella, quindi non so dire se quanto ho vissuto in prima persona sia applicabile altrove, ad esempio in metropoli più grandi.
Posso dire che 15 anni fa l’unica strategia che mi sia mai stata sottoposta era quella di pubblicare più notizie possibile, a prescindere dalla rilevanza e senza operare vere scelte, a patto che quelle notizie coinvolgessero qualcuno, nel territorio, che fosse abbastanza gratificato dal vedersi sul giornale da acquistarlo. Non saprei dire con certezza se e quanto questo funzioni: ma la mia percezione è che no, non mi pare una strategia in grado di portare risultati particolari.
Tutto quel che è successo da allora ad oggi non mi sembra aver demolito questo modello editoriale. Nella mia esperienza ho visto palesarsi due soli tipi di scelta: fare un giornale pieno di notiziole, non importa quanto significative, sperando in questo modo di farlo “vivere” da più persone possibili, o trascurare la foto della zucca mutante nata nell’orto in collina per dare più spazio a quel che conta davvero.
Alla lunga, il primo modello vince ancora sul secondo: forse dipende dal fatto che non si vuole perdere il lettore di paese, quello interessato ai necrologi per capirci, nel timore di non avere ancora abbastanza lettori diversi a sostituirlo. Di fatto, poiché i giornali locali vivono di limitazioni molto rigide in fatto di foliazione, se si sceglie di dare dieci righe al minorenne fermato con due grammi di hashish, alla vecchietta che ha perso il gatto, al taccheggio nel supermercato, all’immigrato beccato senza permesso di soggiorno, la conseguenza è che la notizia di una fabbrica chiusa finisce su tre quarti o anche solo mezza pagina. Io sono convinto che per aver senso oggi l’informazione locale debba diventare particolarmente approfondita sulle cose davvero importanti, anche se capisco i rischi di questa strategia e capisco pure che non sempre è facile capire cosa conta e cosa è solo rumore di fondo.
Una cosa la posso dire per certo, e la può confermare chiunque scriva per una testata locale: gli acquirenti del giornale sotto i quarant’anni sono sempre meno, e quelli sotto i trenta semplicemente non ci sono. Tirati in due direzioni diverse, si teme di fare giornali più moderni perché non si sa se e quando sarà possibile intercettare nuovi lettori, ma in compenso si corre il rischio concreto di perdere quelli vecchi: e stare in mezzo è impossibile. Così, se si scrive un pezzo in cui viene citato Google bisogna ogni volta spiegare bene cos’è Google, perché non sia mai che il pensionato di montagna smetta di comprarci perché non ci capisce più.
Quanto alle versioni on line, la testata locale è nella invidiabile posizione di fornire un’informazione esclusiva. Se domattina il New Yor Times decide di far pagare la sua pagina politica non mancheranno i siti in cui posso trovare le stesse notizie gratuitamente. Localmente, invece, quella concorrenza non c’è (ancora): d’altro canto sono pochi i lettori interessati a pagarla, quell’informazione on line, e al tempo stesso gli inserzionisti territoriali non vedono il vantaggio di comprare pubblicità su internet.
Io sono del parere che, se conta per i grandi giornali, la partecipazione deve pesare ancor di più a livello locale: permettere i commenti alle notizie è il primo passo, strumenti come i forum e altri che devono ancora essere immaginati mi sembrano la strada giusta per catturare l’interesse e far comunità. E una volta che la comunità è forte, numerosa e partecipata, chi lo sa cosa può succedere? Una volta il giornale locale non era un mero veicolo di cronaca, ma un attore di primo piano della vita della città, e con un titolo poteva far dimettere il sindaco: oggi non più, bisogna prenderne atto. Internet permette di mandare un giornalista in consiglio comunale con una telecamerina, pubblicare video e sollecitare commenti con costi esigui, una volta che si convinca il fossilizzato cronista locale che il suo mondo è diventato un po’ più grande del suo taccuino (impresa non semplice, in effetti): può dialogare in tempo reale con i lettori, può arrivare a notizie e segnalazioni dai diretti interessati che prima avrebbero richiesto un setaccio minuzioso del territorio, può innescare dibattiti di alto profilo e sì, secondo me può anche far dimettere il sindaco.
Io credo che su internet si possano costruire fortissime comunità locali, credo che ci sia l’interesse di trovarsi per discutere di quel che ci succede sotto casa: del resto noto che nelle chat room, benchè si abbia la possibilità di parlare con qualcuno alle Antille, nella maggior parte dei casi i milanesi finiscono a parlare con chi è di Milano, e i torinesi con chi è di Torino. In molte città, i giornali locali sono stati strumenti di rappresentazione dei blocchi sociali esistenti, e attraverso di essi hanno affermato il loro peso sulla vita della città. Oggi quel meccanismo sociale non funziona più, in compenso la rete mette a disposizione mezzi ancora più precisi ed efficaci, gratuitamente, e non vedo perché non si debba tentare di creare sul web comunità nuove e in grado di far sentire la propria voce.
E una volta che si ha quel potere, quella capacità di incidere sulla società, secondo me gli editori sono più disposti a spendere, gli inserzionisti a far pubblicità, i lettori ad abbonarsi.

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