7 FEBBRAIO 2014

Dal popolo, per il popolo, e possibilmente con il popolo

Ho molti conoscenti tra i cosiddetti renziani della prima ora, e lo sconcerto con cui rifiutano anche solo di prendere in considerazione l’idea che il loro leader diventi presidente del Consiglio senza passare dalle elezioni ma semplicemente sostituendo Letta la dice lunga – se non sulla qualità dell’idea in assoluto – sull’effetto che fa sui suoi più antichi sostenitori. Eppure basterebbe aver letto il suo libro del 2013, e ricordarsi che quando in quei giorni concitati dopo la capitolazione di Bersani arrivò la chiamata, lui si disse disponibile (ma fu Berlusconi a fermare l’operazione, per dire come cambiano le cose).
Detto questo, la verità è che nessuno sa davvero cosa succederà, e posto che sarebbe stato meglio poter approvare una legge elettorale un po’ più semplice e andare al voto, se l’ipotesi di cui sopra dovesse concretizzarsi ci sono alcune considerazioni che voglio mettere a verbale in modo semplice semplice, anche per spiegare l’atteggiamento di chi, come il sottoscritto e altri che al congresso hanno sostenuto Pippo Civati, nei confronti di questa nuova gestione del Pd è laicamente in attesa di capire come si scioglieranno questi nodi.

Infatti, ferme restando le questioni di merito su cui non concordiamo – l’impianto della legge elettorale e della riforma del Senato, per citare le più note – le schermaglie di questi mesi sembrano del tutto interlocutorie se non si stabilisce una volta per tutte che destino dare a questa legislatura (e per questa ragione è inutile agitarsi scompostamente, come sta facendo l’altra minoranza, in modo molto contraddittorio e con effetti paradossali).
Per noi, come è noto, c’è un problema di tenuta democratica che questo impianto non  può in alcun modo reggere: è vero, gli italiani sono incazzati per questioni a loro molto più vicine che non la coerenza ideale della compagine di governo, ma di fatto è sistematicamente (e ipocritamente) sottovalutata l’importanza di dare le possibilità al popolo, proprio in una fase come questa, di scegliere da chi farsi governare. Poi, certo, dipende molto dalla reale capacità di chi vince di tenere e se possibile allargare quel consenso, ma senza il primo passaggio è una pia illusione pensare di centrare gli obbiettivi seguenti.
Ora: se c’è uno, tra tutti, che meglio dovrebbe capire questo punto, ebbene questo è proprio Matteo Renzi. Per motivi evidenti. Quindi: che sia o no un bluff, una leva per far esplodere l’incapacità di questo governo di “fare”, il tentativo di stimolo semplicemente non è destinato a funzionare. Per il problema di impianto di cui sopra. Se dobbiamo passare un altro anno – o magari più – in questa condizione, con questo governo e questa maggioranza, il conflitto nel Pd aumenterà, non calerà. Quello nel Paese, pure.
Se invece l’obiettivo è quello di andare al voto, allora la finestra si sta facendo molto stretta, e in mezzo c’è l’insidia della legge elettorale e di una crisi da aprire nessuno sa come. Perché dimissionare un presidente del Consiglio del proprio partito non è semplice, ecco.

Se invece, infine, davvero è imminente una staffetta e Renzi è convinto di poter imprimere a questa legislatura un’eccezionale accelerazione anche senza tornare a chiedere il parere degli elettori, allora ci sono ancora un paio di variabili di cui sarebbe saggio tenere conto. La prima, che nel caso tutti si aspetterebbero che a quel punto Renzi si spenda per restare fino al 2018 (non diversamente da chi l’ha preceduto: e forse proprio questo dovrebbe costituire una cautela micidiale): al contrario, e non lo dico per mero spirito provocatorio, proprio se riuscisse a portare a casa un pugno di riforme clamorose in pochi mesi, poi a maggior ragione potrebbe presentarsi al giudizio degli elettori e vincere, continuando l’opera questa volta con un pieno mandato popolare: tutto ciò ovviamente, a patto che Renzi sia davvero in grado di fare le cose che promette di voler fare e che gli elettori delle primarie che l’hanno votato credono possa fare, cosa di cui non tutti sono convinti, ovviamente, e che dipende moltissimo da lui solo. In questo piano, però, resta il problema della debolezza dell’impianto di cui si diceva prima, che persiste anche mettendoci un leader diverso o più forte: resta il problema di Alfano, insomma, e di un’alleanza tra forze che vogliono cose molto spesso opposte.

E allora? Allora potrebbe essere utile cambiare schema, guardare altrove: riprendere a bordo Sel, anche in vista di appuntamenti futuri in cui servirà una sinistra unita, e provare a scomporre la parte del M5S che è a disagio, e che non è piccola.
A quel punto si tratterebbe di realizzare, con un bel po’ di ritardo, il famoso piano C di Civati (e sarebbe interessante a quel punto leggere le reazioni di commentatori di area liberal molto allineati al renzismo che su questo attaccavno Pippo). Il problema della legittimazione popolare resterebbe inevaso, ma l’impianto avrebbe una sua coerenza: e questo perché, al netto di molte semplificazioni spesso di comodo, tra i programmi del M5S e del centrosinistra c’erano molti più o punti in comune di quanti ce ne siano mai stati col centrodestra, con Berlusconi o senza. Quanto all’accusa di comporre una maggioranza scilipotizzata, se si concorda che il M5S rappresenta qualcosa, ma che al tempo stesso la guida di Grillo e Casaleggio non è esattamente rassicurante dal punto di vista dell’espressione democratica, beh, allora l’idea di portargli via il pezzo più ragionevole non è affatto sbagliata. E forse dopotutto da una tornata elettorale disastrosa come quella del 2013 alla fine potrebbe persino venire qualcosa di buono, chissà.
Improbabile? Può darsi, ma i messaggi di Renzi ai grillini “buoni” non mi sembrano casuali, e del resto anche Letta per mezza giornata aveva valutato lo stesso cambio di schema, quando ha rotto con Berlusconi. E se l’avesse percorso fino in fondo forse oggi staremmo raccontando una storia diversa, chissà.

Questo è quanto, non resta che attendere: nessuno, davvero nessuno ne sa molto più di così, e fino a che non si scioglieranno questi nodi, i retroscenisti continueranno a macinare, i commentatori a interrogarsi, e quelli in malafede ad agitarsi. A vuoto.
Ma ormai non dovrebbe mancare molto, e poi finalmente sapremo.

I commenti sono chiusi.