2 OTTOBRE 2013

Un tizio entra in un governo delle larghe intese

Avevo sbagliato previsioni, e alla fine penso che anche chi che le ha azzeccate sia comunque rimasto sorpreso da quel che è andato in scena. Anche quelli che stavano seduti intorno a Berlusconi, quando ha preso la parola, forse son rimasti stupiti da quel che ha poi effettivamente detto. E non è una scusa, però.

Ora, l’importante – almeno per me – è capire cosa è successo. Perché le previsioni si possono sbagliare, ma almeno sull’esistente qualche idea è meglio farsela.

Primo, da quel che capisco questo si conferma un governo con l’ambizione di non avere scadenza. Non vuol dire nulla, perché gli incidenti succedono, possono succedere anche domani: ma di fronte alla crisi di questi giorni Letta poteva presentarsi e dire una cosa del tipo “rilancio per sistemare i conti e cambiare legge elettorale, poi al voto”. Invece no, ha puntato al colpo grosso, anzi, ha ribadito di non voler porre nessuna scadenza. E il colpo pare riuscito, per ora.

Secondo, la natura politica, diciamo così, del governo non è cambiata. O meglio, certo: si è inflitto un duro colpo a Berlusconi, durissimo. Ma tutta l’operazione è avvenuta tra il campo del Pdl e quello del Pd. Letta non si è appellato al Parlamento in senso largo, anzi, in un certo senso ha ratificato l’esistente come sola maggioranza possibile. Avrebbe potuto lanciare almeno una mollica a Sel, se non a quei grillini che sembrano oggi sempre più isolati e screditati come possibili partner di qualsiasi tipo. D’altro canto, attrarre Sel significherebbe perdere il Pdl, e non avere più la maggioranza, o almeno così sembra pensarla Letta.

Terzo, poche se non nessuna novità dal punto di vista dei programmi. “Ci siamo liberati di Berlusconi, e quindi adesso poniamo rimedio a questa follia dell’abolizione dell’Imu”, per dire: ma no, queste parole non sono risuonate. Anzi: con sincerità apprezzabile ma devastante, Letta ha placidamente ammesso che non c’è una maggioranza possibile con cui cambiare la legge elettorale. E che se non c’è una maggioranza d’accordo, ma questo è ovvio, la legge non si può cambiare. Una presa d’atto, tipo.

Questo è quanto, credo. Detto questo, si tratta solo di capire che cosa ci facciamo noi, in questo partito. Come nelle barzellette, “un tizio entra in un governo delle larghe intese”, e chissà come finisce. Chissà se fa ridere. Chissà se, per dire, al congresso ci sarà qualcosa di cui possiamo ancora discutere, o se dovremo limitarci a prendere atto di quanto detto sopra.
Alcuni esempi.

E’ legittimo, per Civati, insistere nel dire che questa operazione, pur dettata da necessità, è innaturale, che va limitata nel tempo, nel peso politico, nei compiti, e che a marzo si deve tornare a votare? O sarà inclusa un’apposita clausola nel regolamento? E’ legittimo che chi vota Matteo Renzi lo faccia perché vuole vincere le elezioni con lui candidato premier, e insomma non è che gli vada proprio a genio aspettare fino al 2018? E’ legittimo, nelle mozioni congressuali, scrivere – per limitarci a un singolo esempio, ma molti potrebbero essercene – che levare le tasse sul patrimonio è una fesseria, che bisogna levarle sul lavoro; e sarà legittimo pretendere che quelle idee, se dovessero vincere il congresso, non restino solo parole ma siano applicate al Governo, con coerenza, anche a costo di metterne in pericolo la tenuta? E’ legittimo preoccuparsi di un governo che – Berlusconi a prescindere – potrebbe fare da anticamera a un nuovo e diverso e definitivo posizionamento del nostro partito? E’ legittimo chiedere che quantomeno prima se ne possa discutere con calma, già che ci siamo proprio durante il congresso, e non solo a Montecitorio?

Ecco, qualcuno ci faccia sapere.

  1. Letta non ha neanche provato a cercare una maggioranza alternativa, che avrebbe mandato il Pdl all’opposizione, ma comunque al calduccio, in Parlamento. Ha messo i parlamentari Pdl di fronte all’alternativa secca: o fiducia, o tutti a casa. E così i “responsabili” sono saltati fuori.

    Una mossa sul momento molto azzeccata (Berlusconi è stato costretto al triplo carpiato con avvitamento, a Bondi è quasi venuto il coccolone), ma che semplicemente “congela” l’esistente a tempo indefinito.

    Chissà quali effetti avrà questa prospettiva sul lungo termine. Certo che ascoltare Monti e i suoi auspici di rinascita di un “grande centro” non è esattamente confortante

     

    silbi
  2. Per come si stanno mettendo le cose a me pare che Letta e company abbiano del PD un-idea che nulla ma proprio nulla ha a che spartire con quella che propone Civati, non si tratta neanche pi\ del PD, mi pare, e mi sembra che gli vadano dietro in parecchi, almeno dentro al partito. Le cose si possono salvare solo se al Congresso emerge che Civati ha un sostegno plebiscitario da parte della base e degli iscritti, allora, a quel punto si pu; andare verso una svolta decisa e chi non  va, aria, si rivolga pure a Monti, Alfano o chi gli pare. Non credo che con questa gente si possa di convivere, francamente, le due anime ora sono diventate troppo distanti, la Bindi pare Che Guevara, in confronto a Letta.

    silvia manganelli
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  5. Fervido simpatizzante di Civati, ogni tanto butto un occhio da ‘ste parti, ancora incerto se iscrivermi o no a un pd che mi convince poco, con il solo scopo di contribuire a sostenere Pippo. Ma quando leggo cose tipo “se al Congresso emerge che Civati ha un sostegno plebiscitario da parte della base e degli iscritti”, boh, mi sembra caritatevole invitare chi lo scrive, anche solo come ipotesi, a svegliarsi dal sogno. Spero tanto di sbagliarmi, eh, ma (almeno a questo giro) Civati non ha secondo me nemmeno l’ombra di una chance, se non di pura testimonianza, di collocamento, non so bene come dire. Sarebbe bello se a svegliarmi fossi io, scoprendo un pd civatiano; ma la mia impressione è che il mondo, per così dire, “esterno ai civatiani”, Pippo non se lo peschi quasi per niente.

    Marco Riccini
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