23 APRILE 2009

Art sharing

shepard-fairey-say-yesMi ero imbattuto – senza merito alcuno, per pura fortuna – nelle opere di Shepard Fairey quando ancora si faceva chiamare Obey, e ben prima che realizzasse il famoso manifesto Hope con Obama come soggetto. Mi aveva colpito il mix graficamente molto accattivante di una serie di stili che amo molto, dal costruttivismo sovietico al realismo cinese. E la pop art, ovviamente.
In seguito, la notorietà ha migliorato le quotazioni delle sue opere, ma non gli ha portato molta fortuna, anzi ha permesso alle autorità di identificarlo come writer ricercato. Il suo lavoro è stato esaminato più attentamente, e gli sono piovute addosso accuse di plagio molto documentate, e anche un po’ imbarazzanti nella loro evidenza.
Qui però si entra in un ambito – quello della critica pura – che è molto scivoloso: stabilire il confine tra plagio, citazione e interpretazione è una di quelle cose che portano gli esperti a prendersi a schiaffi.
Secondo un articolo di qualche giorno fa dell’ex art director del New York Times, Fairey non è un ladro, e la motivazione che usa a sostegno di questa tesi è affascinante, perché applica alle opere d’arte alcuni concetti oggi molto discussi, soprattutto a proposito del copyright e del file sharing:

Fairey believes that the fact that it is designed for public consumption makes it free for the taking.

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