21 APRILE 2009

Mi raccomando con quel miglio, lo voglio di un bel verde

dylandog_271Lo dico da ex lettore e con rispetto, ma Dylan Dog ha smesso di essere un fumetto interessante quando Tiziano Sclavi è guarito dalla sua storica depressione. Cosa che ha coinciso con il suo abbandono come scrittore regolare della serie.
DyD è da molti anni, al pari di Tex, uno di quei fumetti che piacciono a chi non legge fumetti, magari li tiene in bagno o – sacrilegio – li butta quando li ha finiti. Oppure quelli che poi a un certo punto riempiono uno scatolone e vanno in fumetteria – per la prima volta in vita loro – pensando di vendere chissà quale rarità e davvero non riescono a crederci quando scoprono che tutta quella carta non è poi così preziosa. Sono anche quelli che se gli presti o regali non dico Maus, ma Sandman, o Cages, se non li abbandonano in un cantuccio e li leggono per davvero poi tornano da te e ti dicono "non pensavo che esistessero fumetti così". Però collezionano Zagor.
La colpa è della Bonelli e della gabbia che l’editore insiste a voler costruire intorno a personaggi che pure avrebbero potenzialità – vedi il caso ormai non più tanto recente di Nathan Never, un germoglio appassito. Quando stabilisci che Dylan Dog deve per forza vestirsi sempre allo stesso modo, non importa ci sia il sole o nevichi, che a ogni episodio bisogna senza eccezione farci stare una suonata di clarinetto, una bevuta con l’ispettore Bloch, una quota-battute di Groucho, una bella figa usa e getta; quando una volta ogni cento numeri celebri un albo a colori come se fosse un evento – malgrado Topolino esca tutte le settimane a colori dagli anni Trenta – e quando ti ostini a castrare disegnatori anche eccellenti pur di farli stare dentro gabbie che erano già stantie ai tempi del Diabolik delle sorelle Giussani, se fai tutto questo un personaggio lo uccidi.
Bonelli si difende dicendo che non mira a fare letteratura grafica, ma puro intrattenimento. Ma ormai anche quello gli riesce sempre più difficile. Ed è un peccato, perché c’è stato un momento in cui Dylan Dog vendeva un milione di copie, cifra con cui credo solo certi bestseller giapponesi possono competere. C’è stato un momento in cui la Bonelli era una delle più grandi case editrici di fumetti del mondo, nella stessa fase in cui, ad esempio, la Marvel era di proprietà della multinazionale dei cosmetici Avon, ed era in amministrazione controllata per i troppi debiti: Bonelli avrebbe potuto comprarsela e farne un sol boccone. Cosa che, per fortuna, non è successa.
Detto questo, ecco l’ultimo numero di Dylan Dog: si intitola "Il piccolo diavolo", ma Benigni non c’entra nulla. E’ proprio la storia di un diavolo piccolo, letteralmente. Suggerisco L’uccello dalle piume di cristallo, storia di un volatile incrociato con uno Swarovski, e Non aprite quella porta, drammatica vicenda di una famiglia rimasta chiusa fuori da casa a Ferragosto, quando i fabbri sono in ferie.

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